Milano: Binario 21, il memoriale della shoah

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Oggi ci addentriamo in un capitolo oscuro della storia di Milano: il Binario 21. Questo memoriale, situato all’interno della Stazione Centrale di Milano, racchiude tristi ricordi legati alla deportazione degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. La visita ci ricorda le terribili sofferenze subite dalle vittime ed è molto toccante. La consiglio quindi a chi ha figli già grandicelli, in modo da capire gli avvenimenti storici. E’ importante prendere coscienza dell’importanza di preservare la memoria e di combattere l’odio e l’intolleranza.

Il contesto storico

L’entrata al memoriale della Shoah

Durante la Seconda Guerra Mondiale, lo sappiamo bene, il regime nazista di Adolf Hitler mise in atto una politica di persecuzione sistematica degli ebrei. Prima dell’occupazione nazista l’Italia, però, era stata in gran parte un rifugio sicuro per gli ebrei europei. Tutto cambiò dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia si arrese agli Alleati ed il controllo passò ai nazisti e ai loro collaboratori italiani. Iniziarono così le deportazioni in massa degli ebrei italiani. Molte famiglie vennero strappate dalle loro case e costrette a salire sui treni. Viaggiavano stipati come animali – che partivano appunto dal Binario 21.

Il Binario 21: un luogo di partenza verso l’orrore

La piattaforma della deportazione

Il Binario 21 di Milano fu il punto di partenza per la maggior parte dei treni della deportazione degli ebrei italiani. Durante il periodo compreso tra il 1943 e il 1945, oltre 9’000 ebrei furono trasportati verso i campi di concentramento e di sterminio nazisti. Fra di loro c’erano – uomini, donne e bambini. Ci furono anche deportazioni verso i campi di transito di Fossoli, Verona e Bolzano. Da qui gli ebrei venivano trasferiti ai campi di concentramento veri e propri. La grande maggioranza non fece più ritorno. Questo luogo di Milano, una volta tranquillo, si trasformò in una scena di separazione, dolore e paura.

Il Viaggio verso l’Inferno

L’Osservatorio

I treni che partivano dal Binario 21 erano destinati ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau in Polonia, Bergen-Belsen in Germania e Mauthausen in Austria. Le condizioni all’interno di questi treni erano disumane. I carri merci erano sovraffollati erano privi di igiene, cibo e acqua. Gli ebrei deportati venivano costretti a viaggiare per giorni, spesso senza sapere il loro destino finale. Molti morirono durante il tragitto a causa delle condizioni insopportabili. Le famiglie venivano strappate l’una dall’altra, costrette ad affrontare un destino ignoto. Quasi tutti gli altri invece trovarono la morte nei campi di sterminio.

Per saperne di più, vi consiglio il post Visitare Auschwitz con bambini: intervista a Sara

La nostra visita al binario 21 di Milano

Il muro dell’indifferenza

Il Binario 21 di Milano è stato trasformato in un simbolo di commemorazione e ricordo delle vittime dell’Olocausto. La visita inizia nell’atrio d’ingresso dove trovate il Muro dell’Indifferenza. Bene, mai nome fu più azzeccato. Tutta concentrata nel salire la rampa che porta alla biglietteria, non mi sono accorta della sua presenza, e come me tutte le altre persone in fila ad acquistare il biglietto d’ingresso.

La visita prosegue verso l’Osservatorio e le Stanze delle Testimonianza. L’osservatorio è un’installazione che sembra un “tubo” e che offre una prima vista sui vagoni e sui binari. Al centro dello spazio si trovano una serie di Stanze delle Testimonianza, dove entrare, sedersi ed ascoltare le parole di alcuni sopravvissuti. Importanti le testimonianze della senatrice Liliana Segre e dell’imprenditore Nedo Fiano.

Uno dei vagoni del Binario 21 di Milano

Si passa poi alla Banchina delle Deportazioni e ai Vagoni Piombati, apribili solo dall’esterno. Non c’erano finestre, ma solo delle piccole grate in cui entrava un filo d’aria. In questi vagoni – che si usavano per trasportare più o meno 8 cavalli, venivano stipate fra le 60 e le 80 persone. Non c’era posto dove sedersi e neppure servizi igienici. Il viaggio poteva durare fino ad una settimana.

Dalla Banchina delle Deportazioni si giunge alla Piattaforma di Deportazione e il Muro dei Nomi. Qui vedete il sistema di sollevamento che era usato per “trasportare” un vagone alla volta al livello dei binari. Stazionavano poi accanto ai treni passeggeri regolari. Sul pavimento noterete 20 targhe, ognuna con una data e una destinazione. Sono tutti i convogli partiti dalla stazione Centrale di Milano. Sulla banchina ci sono anche pannelli con 774 nomi – quelli delle persone “caricate” sui primi due convogli. 27 di questi sono di color arancione – e sono i nomi dei sopravvissuti.

Alcune informazioni utili

Il muro dei nomi

Il memoriale Binario 21 di Milano si trova sotto la stazione Centrale di Milano, a livello stradale. Prima delle deportazioni era adibito al carico e scarico della posta. Per raggiungerlo camminate lungo il lato dove partono i bus per Orio al Serio, andate diritti oltre il tunnel stradale fino a quando vedrete il graffito dei Simpson con la stella di Davide (quello in copertina). Dopo 100 metri arriverete all’ingreso del memoriale.

Binario 21 è aperto tutti i giorni tranne il venerdì dalle 10 alle 16. L’ultimo ingresso è alle 15.30. Potete visitarlo liberamente oppure con una visita guidata (non serve prenotare ed è compresa nel biglietto). Se preferite una visita individuale all’entrata trovate un codice QR da scansionare per scaricare l’audioguida gratuita (potete farlo anche da casa, sul sito). Ricordatevi di portare con voi degli auricolari.

Dall’Italia alla Svizzera: chi il treno non l’ha preso

Esther

E’ un po’ che voglio raccontare questa storia, quella di una bambina chiamata Esther Mevorah. Allora aveva poco più di 8 anni e assieme alla sua famiglia ha evitato la deportazione fuggendo in Svizzera, e finendo ospite a Melide, in casa della mia famiglia. Fuggiti alla persecuzioni naziste dalla Jugoslavia, la famiglia arriva in Italia. Furono mandati al confino in Piemonte, ed il padre strinse amicizia con il maresciallo del villaggio. Una notte il maresciallo li avvisò che aveva avuto l’ordine di arrestarli il giorno seguente, e quindi dovevano fuggire immediatamente. Presero poche cose con se e, su ordine del padre, non portarono con loro alcun simbolo ebraico.

La fuga verso la Svizzera

Esther con noi, nel New Jersey

Il viaggio verso la Svizzera terminò con un passaggio a piedi, di notte, su un valico di montagna. Furono fermati dalla guardie di confine, che intendevano respingerli perché non avevano nessun modo di dimostrare che erano ebrei. Solo allora la piccola Esther disse al padre che gli aveva disobbedito e che lei aveva conservato una piccola stella di Davide. L’aveva nascosta dentro la scarpa. Furono quindi ammessi e portati in un centro a Paradiso, e la madre ricoverata in ospedale. Al padre non fu permesso di tenere la bambina, che seguì la madre. Lì fece amicizia con la mia prozia, che lavorava come volontaria e che non aveva avuto figli.

L’accoglienza in Ticino

Esther, la mia sorella del New Jersey e mio figlio

Con il passare del tempo, la salute della madre non migliorava e si prospettava l’idea di inviare la bambina a Milano, da una parente. La madre di Esther non si perse d’animo: parlò con la prozia e le chiese di trovarle un notaio. Davanti a lui stese una sorta di contratto. Affidava a mia zia temporaneamente la figlia. Se fosse sopravvissuta, al termine della guerra, si sarebbe ripresa la bambina. Se invece non ce l’avesse fatta, la bambina sarebbe rimasta con lei. Esther visse due anni a Melide, diventando la migliore amica di mia madre, con cui frequentò la scuola elementare.

C’è un lieto fine: la madre di Ester si riprese, la famiglia potè riunirsi, e partirono per gli Stati Uniti, ricominciando una nuova vita. E appena la condizioni economiche glie l’hanno permesso, ogni anno è tornata da noi, per una visita mai annunciata. Suonava semplicemente il campanello della porta e diceva: “Ciao, sono tornata a casa“. Questa è la storia di Esther, la “mia seconda mamma”. Ora non c’è più, ma sento e visito regolarmente una della figlie – la “mia sorella” del New Jersey.

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